C’è anche l’Italia nella Top-10 stilata dal British Film Institute che raccoglie i migliori film del decennio non girati in lingua inglese.
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8. La donna che canta (Denis Villeneuve, 2010)
Col titolo originale di Incendies, il film canadese, girato in lingua francese, racconta la storia di due gemelli, Jeanne e Simon, che dopo la morte della madre scoprono alla lettura del testamento di avere un fratello e un padre ignoti a Beirut. Dei due, solo Jeanne decide di relazionarsi alla scoperta e di partire per Deressa (o Daresh), dove la madre compì i suoi studi universitari. Le ricerche della figlia procedono di pari passo con uno sguardo al tragico percorso giovanile della madre, entrambi diretti verso la verità sui parenti scomparsi. Il talento di Villeneuve di rappresentare le tragedie contemporanee traspare chiaramente dal film, e si presenta agli occhi dello spettatore che vede sullo schermo lo svolgersi di due storie uguali che scorrono come linee parallele su due universi temporali diversi, quella di Jeanne e quella di sua madre. La donna che canta è il tentativo, riuscito, di umanizzare il travaglio politico della Palestina.
7. Il tocco del peccato (Jia Zhangke, 2013)
A Touch of Sin è un film diviso in quattro parti di 30 minuti. La prima è ambientata nella desertica provincia cinese dello Shanxi (luogo di nascita del regista Jia Zhangze), dove un uomo noto per la sua opposizione alla corruzione, non resiste al senso di impotenza e, fucile in mano, decide di eliminare i problemi alla radice. In un centro rurale del sudovest, un lavoratore ritorna a casa dalla sua famiglia dopo diverso tempo ma non regge più ritmi e consuetudini di una vita sedentaria. In una città della Cina centrale una receptionist di una sauna cerca di cambiare vita senza successo e, ritornata a quella precedente, viene aggredita dai clienti. Infine nella città industriale Dongguan un ragazzo lascia e riprende diversi lavori tra cui uno come cameriere in uno dei molti bordelli locali travestiti da attività rispettabili. Il film, caratterizzato da un’esasperata violenza, atipica nel cinema cinese, è una rappresentazione diretta e fedele delle tensioni sotterranee della Cina contemporanea, rivoltata come un calzino dall’improvviso e repentino sviluppo economico.
6. Un sapore di ruggine e ossa (Jacques Audiard, 2012)
Dopo aver scoperto di avere un figlio di cinque anni, Ali si trasferisce dal Nord della Francia al Sud, ad Antibes, dalla sorella. La sua nuova vita sembra procedere per il meglio, soprattutto dopo aver conosciuto Stephane, animatrice di uno spettacolo di orche marine. La serenità però non durerà molto perché una tragedia sta per sconvolgere le vite dei personaggi. Il film di Audiard è un crescendo di tensione, stemperata nel finale per riportare un equilibrio rischioso ma ben riuscito. Anche dal punto di vista tecnico e visivo, Rust and Bone, è caratterizzato dall’equilibrio di forti contrasti come bellezza e squallore, forza e debolezza.
5. Uomini di Dio (Xavier Beauvois, 2010)
Il film francese Of Gods and Men di Xavier Beauvois porta sullo schermo il sacrificio di sette monaci francesi che nel marzo 1996 vennero sequestrati da un gruppo armato della Jihad islamica in Algeria, le cui teste vennero ritrovate il 30 maggio di quello stesso anno. Documenti ritrovati di recente coinvolgono le forze armate algerine nel tragico esito finale del sequestro. Il regista riesce, magistralmente, a raccontare il percorso dei monaci verso la morte facendoli restare degli uomini, senza trasformarli in martiri da agiografia. Il film riesce a far emergere al contempo le singole individualità così come la tenuta complessiva di un gruppo animato da una fede che non si trasforma in esclusione ma che vuole, fino all’ultimo, tradursi in atti di condivisione sia all’interno che all’esterno.
4. Amour (Michael Haneke, 2012)
Anne e Georges sono due insegnanti di musica in pensione che trascorrono il loro tempo suonando il pianoforte, leggendo e ascoltando concerti. Una vita serena che viene sconvolta dall’ictus di Anne. Paralizzata e umiliata dall’infarto cerebrale, la donna dipende interamente dal marito, che affronta con coraggio la sua disabilità. Assistito tre volte a settimana da un’infermiera, Georges non smette di amare e di lottare, sopportando le conseguenze affettive ed esistenziali della malattia. Malattia che degenera consumando giorno dopo giorno il corpo di Anne e la sua dignità. Spetterà a Georges accompagnarla al loro ‘ultimo concerto’. Quello del regista e sceneggiatore austriaco Michael Haneke è un film potente sull’umiliazione dell’invecchiamento. Allo spettatore non vengono risparmiati i dettagli più scabrosi del massacro della malattia, contrastati dalla purezza del sentimento e dalla malinconia del sogno. Il decadimento del corpo e il dramma sostanziale dell’essere umano contro l’etereo sentimento d’amore e il richiamo nebbioso dei ricordi. Amour è una vera e propria esperienza.
3. Il sospetto (Thomas Vinterberg, 2012)
Vinterberg è uno dei fondatori del movimento Dogma 95 (di cui ha fatto parte il regista Lars von Trier) ed è diventato celebre per il rivoluzionario Festen – Festa in famiglia del 1998. Il sospetto (The Hunt), che ha riportato il regista alla ribalta internazionale, sviluppa una materia a cui Vinterberg sembra essere particolarmente affezionato: i drammi familiari impreziositi dalle perversioni sessuali. Il protagonista Lucas ha un divorzio alle spalle e una nuova vita davanti che vorrebbe condividere con il figlio Marcus, il cane Funny e una nuova compagna. Mite e riservato, Lucas lavora in un asilo, dove è stimato dai colleghi e adorato dai bambini, soprattutto da Klara, figlia del suo migliore amico. Klara, bimba dalla fervida immaginazione, è affascinata da Lucas a cui regala un bacio e un cuore di chiodini. Rifiutato con dolcezza e determinazione, Lucas invita la bambina a farne dono a un compagno. Klara non gradisce e racconta alla preside di aver subito le attenzioni sessuali dell’insegnante. La bugia di Klara scatenerà la ‘caccia’ al mostro, investendo rovinosamente la vita e gli affetti di Lucas. Disperato ma deciso a reagire, Lucas affronterà a testa alta la comunità nell’attesa di provare la sua innocenza. Il sospetto è un’efficace e potente critica al giustizialismo del popolo, ansioso di additare il mostro della situazione, pur non avendo alcuna inconfutabile prova fra le mani.
2. La vita di Adele (Abdellatif Kechiche, 2013)
Tratto dalla graphic novel francese Il blu è un colore caldo, il film del regista franco-tunisino Kechiche racconta la storia di Adèle, una quindicenne piena di vita che si innamora di una ragazza dai capelli blu incontrata per caso e ritrovata in un locale gay, dove si è recata con l’amico di sempre. Grazie ad Emma (questo il nome della ragazza), Adele viene condotta fuori dall’adolescenza per diventare donna e scoprire che la vita non è sempre come uno di quei bei romanzi che era abituata a leggere. La vita di Adele parla di un amore doloroso ma non disperato, accompagnato da una carnalità che non è mai morbosa. Il regista regala al pubblico delle sequenze cinematografiche che rimarranno nella storia per eleganza e bellezza, che fanno da cornice ad un racconto di fratture e crescita.
1. La Grande Bellezza (Paolo Sorrentino, 2013)
Ed è proprio un film italiano a dominare la vetta della classifica del British Film Institute. Secondo l’importante istituzione britannica è di Paolo Sorrentino il film migliore del decennio. La Grande Bellezza è stato molte volte erroneamente considerato un film che racconta la decadenza della Roma contemporanea, ma in realtà la Capitale funge solo da sfondo perfetto per raccontare la decadenza di tutta la società, il cinismo e l’ipocrisia del mondo intellettuale e religioso e la vuota mondanità borghese. Un film che merita di essere visto più volte per essere capito a pieno, filosofico, simbolico, a tratti manierista e visivamente edonista, che piaccia o no è già una pietra miliare della storia del cinema.
Fonti: British Film Institute, Mymovies
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