#riscopriamo il capolavoro di Vittorio De Sica “Ladri di Biciclette”, vincitore dell’Oscar come miglior film straniero nel 1950 e pietra miliare del cinema.
I nostri lettori abituali ricorderanno sicuramente il nostro articolo dedicato ai dieci migliori film italiani secondo gli Americani (potete rileggerlo qui). Nell’articolo avevamo promesso di dedicare un’analisi approfondita a Ladri di biciclette, forse il più grande capolavoro di Vittorio De Sica e sicuramente un film che ha fatto epoca e che si è rivelato essere importantissimo per la storia del cinema non solo italiano, ma mondiale. Per questo motivo oggi inauguriamo la rubrica #riscopriamo, attraverso cui andremo a recuperare capolavori del passato ma anche i più recenti, sia del cinema che della tv. Quale miglior modo di far partire una rubrica come questa se non parlando di un film importante come Ladri di biciclette? Ecco perciò la nostra analisi e le nostre considerazioni a riguardo.
Cast
- Antonio: Lamberto Maggiorani
- Bruno: Enzo Staiola
- Maria: Lianella Carrell
- Ladro: Vittorio Antonucci
Trama del film
Siamo nell’immediato secondo dopoguerra. Il disoccupato Antonio riesce a ottenere il posto di attacchino, lavoro in cui è necessario l’uso della bicicletta. Per recuperare il mezzo che aveva precedentemente impegnato al Monte di Pietà, la moglie di Antonio decide di scambiarla con la biancheria che avevano in casa. Antonio inizia così a lavorare, ma proprio durante il primo giorno, mentre è intento a incollare un manifesto cinematografico, la bicicletta gli viene rubata. La disperazione assale il protagonista che non riceve alcun aiuto dalle persone che si trovavano là vicino in quel momento. Nonostante riesca a trovare il ladro dopo un lungo vagare per la città di Roma in compagnia del figlio Bruno, si trova costretto a fuggire per evitare di essere malmenato. In preda alla più totale rassegnazione, Antonio, giunto nei pressi dello stadio, decide di rubare una bicicletta, ma viene bloccato e aggredito dalla folla che lo libera solo grazie alle grida e le lacrime del piccolo Bruno.
Analisi del film
Per analizzare il film cerchiamo di capire prima qual è l’idea centrale su cui esso è stato costruito. De Sica non vuole raccontare la storia di Antonio, ciò che vuole in realtà è fornire al pubblico un’analisi della dura realtà italiana degli anni del dopoguerra, attraverso la solitudine di un uomo in una situazione di precarietà lavorativa. La trama di Ladri di biciclette è in fin dei conti abbastanza banale, non è un film che deve stupire lo spettatore con colpi di scena clamorosi o storie complicate. Ciò che il film vuole mettere in risalto è la poetica del quotidiano, immersa in un mondo di miseria, problemi e rassegnazione. Il tentato furto di una bicicletta da parte di Antonio nella parte finale del film, è un’azione che rispecchia parimenti la filosofia della tragedia greca classica: esseri umani comuni che si ritrovano improvvisamente a compiere gesta disperate e malvagie a causa di una tragica catena di eventi per i quali non sono i diretti responsabili. A ben vedere, Ladri di biciclette è una tragedia greca a tutti gli effetti, abbiamo infatti l’unità di tempo, luogo e azione (escludendo il prologo del film). Ciò che manca è l’intervento divino, nessun deus ex machina a sciogliere l’intrigo, la pellicola di De Sica vuole raccontare l’umano, e per questo dev’essere umana. Lo spettatore viene traghettato attraverso le emozioni autentiche e non critiche trasmesse sullo schermo. Si inizia con la speranza, la guerra è finita, la situazione è complicata, ma le cose non possono che migliorare. Alla speranza segue la realizzazione, il protagonista ha ottenuto quello che desiderava: un lavoro stabile che gli servisse a far vivere dignitosamente tutta la famiglia. Poi l’incredulità, seguita immediatamente dalla rabbia, la quale è accompagnata dalla frustrazione, tutto sembra perduto, la fatica, la ricerca, l’onestà, non sono serviti a nulla. Ed ecco che arrivano infine, rassegnazine e autocommiserazione, Antonio si lascia corrompere dal desiderio di rivalsa e sedurre dal crimine. Ma a chiudere definitivamente il sipario c’è la delusione, quella presente negli occhi di Bruno, il bambino che aveva sempre visto nel padre un esempio da seguire e un uomo da ammirare e che lo vede, alla fine, soccombere. Allo spettatore rimane la pietà per i protagonisti, vittime del loro tempo che hanno dovuto imparare presto che, nonostante la guerra fosse ormai conclusa, la vita avrebbe comunque continuato a essere crudele.
Ma Antonio e Bruno non sono gli unici protagonisti di Ladri di biciclette, perché ad accompagnarli c’è la città di Roma. La Capitale inquadrata da De Sica appare svuotata della sua gloria, sembra una cartolina sgualcita popolata da formiche. A riguardo riportiamo una citazione di Sandro Bernardi tratta da Il paesaggio nel cinema italiano, libro edito da Marsilio:
Antonio Ricci parte dai casamenti squadrati e grigi di Valmelaina, nuovi e già vecchi, moderni ma anche sporchi e cadenti, con una campagna brulla dietro le quinte del progresso, per attraversare un verminaio pullulante di miserie, per compiere una discesa progressiva agli inferi, dal mercato delle biciclette alla mensa dei poveri, alla santona di via Paglia, al bordello sguaiato, al suicida del Tevere, giù giù fino alla folla di malversati che circonda il ladro preso nelle sue convulsioni, vere o finte, alla minaccia del linciaggio. (…) Tutto è vero, autentico (…) e la cinepresa camminando accanto ai due protagonisti scopre che questo paesaggio urbano, forse il più terrificante della storia del cinema, ha qualcosa d’intermedio fra città e formicaio, fra natura e cultura.
Note di regia
Bisogna innanzitutto dire che il film è costruito attorno a un paradosso: la disperazione di Antonio è infatti eccessiva, in fin dei conti non sarebbe stato difficile procurarsi un’altra bicicletta a poco prezzo. Ma, come abbiamo già detto, a De Sica non importa raccontare la storia di Antonio e renderla credibile, ciò che viene narrata è la miseria del dopoguerra, più umana che economica.
La scelta di avvalersi di attori non professionisti si rivelò vincente e fu uno dei motivi del successo del film. Gli attori riescono a rivestire il film di un incredibile senso di autenticità.
Lo stile visivo usato dal regista in Ladri di biciclette privilegia i campi totali e i campi lunghi principalmente per due motivi: per rendere in tutta la sua complessità la realtà sociale in cui sono immersi i protagonisti, aumentando il senso di solitudine, a questo contribuisce anche l’imponente architettura romana che sovrasta tutta l’umanità rappresentata. Il secondo motivo è più tecnico e riguarda la modesta capacità espressiva degli attori che non avrebbe funzionato con un uso eccessivo di primi piani e piani ravvicinati.
Aneddoti e curiosità
- Ladri di biciclette è tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Bartolini, scritto nel 1946. L’adattamento per il cinema fu scritto da Cesare Zavattini, uno dei più importanti sceneggiatori mondiali che collaborò anche con Fellini.
- Quando il film venne trasmesso per la prima volta al Cinema Metropolitan di Roma, il pubblico protestò chiedendo di riavere indietro i soldi del biglietto. Il cinema Neorealista (fatta eccezione per il film Riso Amaro) non trovò mai una vera e propria approvazione nel pubblico italiano dell’epoca.
- In modo decisamente diverso andavano le cose all’estero. La pellicola divenne un successo mondiale grazie alla proiezione avvenuta a Parigi con oltre temila spettatori, fra cui moltissimi esponenti intellettuali francesi ed europei. Ladri di biciclette valse a De Sica il suo secondo Oscar dopo Sciuscià.
- Il successo del film permise al regista di ripagare i debiti contratti con la realizzazione di Sciuscià.
- All’interno del film sono presenti numerose comparse, fra cui possiamo trovare anche un giovanissimo Sergio Leone nei panni di un seminarista.
Davide Franco
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