Da molti definito pretenzioso, Ergo Proxy è in realtà un lavoro da rivalutare e capire in modo da poterlo apprezzare al meglio. La recensione di oggi.
Oggi parliamo di un anime definito da molti non solo ambizioso ma anche molto pretenzioso, Ergo Proxy. Ma andiamo con ordine, e cominciamo con la trama.
Ergo Proxy ricorda palesemente alcune opere cyberpunk e postcyberpunk, tra cui Appleseed e Ghost in the Shell, e di un classico della fantascienza d’ambientazione noir come Blade Runner. Ergo Proxy rifiuta di farsi veicolo di messaggi distopici, incanalando tuttavia molti elementi cyberpunk in un inedito futuro tutt’altro che prossimo. È evidente, sin dalle prime puntate, dove la collocazione di genere si fa più chiara, che Ergo Proxy non entrarà in una situazione di stallo come tanta animazione nipponica, e scappa da ogni tentazione schematica ed episodica, evitando l’uso di cliché e di canoni tipici come quello ‘mecha vs. alieno’. L’Alieno, causa del conflitto, qui è tutt’uno con l’umano e ne condivide il problema principale: la ‘raison d’être’. Lo spettatore che entra nel mondo di Ergo Proxy sperimenta questa prima delusione o disillusione: non sarà l’azione la protagonista del racconto, né l’eccentricità di personaggi secondari o l’uso di armi improbabili, ma piuttosto pretenziosissimi flussi di coscienza e sequenze onirico-surreali.
Alla sceneggiatura troviamo Dai Sato, autore che all’epoca (siamo nel 2006) aveva già firmato numerosi progetti con vari media (videogiochi, film e serie animate). Da ricordare almeno la sua collaborazione a tre episodi di un successo come Cowboy Bebop, e alla serie tratta dal capolavoro cyberpunk Ghost in the Shell: Stand Alone Complex.
Questo è un anime dove vengono trattate svariate tematiche ostiche come il rapporto fra Apparenza e Sostanza, benché, ad essere più chiari, sarebbe più giusto scrivere “dove si provano a trattare”.
È piuttosto sarcastico quindi che proprio nella distanza tra la sua effettiva sostanza e la sua forma, risieda il suo maggior problema. Difatti sebbene i primissimi episodi siano abbastanza avvincenti, grazie anche ad un aspetto visivo piuttosto attraente, il giudizio è destinato presto a cambiare.
Innanzi tutto l’atmosfera creata dal connubio tra immagini e musica, che all’inizio riesce a creare qualche bel momento struggente, all’interno di una cornice estremamente minimalista (nonché plumbea e opprimente), diventa ben presto ripetitiva.
La storia, cui sarebbero potuti bastare meno episodi risultando così meno prolissa, diviene a tratti prevedibile, e anche la percezione del ritmo si trasforma da “introspettivo – d’essai” in “immotivatamente lento”.
Elemento positivo, che fa almeno in parte dimenticare i difetti, è la qualità della produzione caratteristica Manglobe. La resa artistica di personaggi come Re-L (che ci ricorda in particolare Amy Lee degli Evanescence), per dettagli e cura, non fa rimpiangere attrici di live-action in quanto a caratterizzazione visiva. Però, anche qui, la nota dolente è che i personaggi, come spesso accade nelle produzioni nipponiche, sono troppo distaccati emotivamente per innescare nello spettatore quel tanto di contaccolpo che porti all’empatia e alla conseguente sospensione dell’incredulità. Si assiste così agli eventi con delicato distacco. Non mancano però le eccezioni a questo stato di cose, quasi esclusivamente focalizzate sulla presenza in scena del personaggio di Pino, vera e propria incarnazione del kawaii tanto caro ai fan del genere: un personaggio ispirato da Pinocchio, probabilmente filtrato dalla trasposizione dello spielberghiano bambino-robot protagonista di I.A. – Intelligenza Artificiale.
Incantevole, invece, anche se discontinuo è il chara design: le fattezze e i volti dei personaggi di Ergo Proxy appaiono mediamente bellissimi, ma rovinati saltuariamente da tratti veloci e grossolani, a loro modo caratteristici ma che, inutile negarlo, imbruttiscono i disegni. Ottime invece le animazioni che, nonostante forse le eccedenti staticità nei momenti di stasi, raggiungono vertici d’eccellenza durante le sequenze action: i combattimenti sono davvero spettacolari e girati con gusto, e il sangue sprizza in abbondanza. Molto interessante infine l’OST, per la maggior parte dell’opera sintonizzata su sonorità elettroniche minimali, ma capace di esplodere nei momenti più drammatici con solenni sinfonie di grande impatto.
Ergo Proxy forse non è un anime adatto a tutti, ma è opera di indubbio valore. Non ci sono occasioni di reale stupore, né momenti di innovazione narrativa capaci di far ricordare a lungo, negli anni a venire, la serie di Shukou Murase, ma abbiamo una storia robusta e insolita, raccontata con un certo estro onirico, che sarebbe davvero ingiusto non lodare. In sostanza Ergo Proxy è un anime un po’ paranoide e affetto da deficit dell’attenzione, con i difetti e i pregi che ciò comporta. E non è certo un caso se i titoli di coda di ogni episodio sono accompagnati da ‘Paranoid Android’ dei Radiohead.
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Fonti: Anime Asteroid, Everyeye.it, Terrediconfine.eu